Syrth è un ragazzo in gamba. Ha una trentina d’anni, capelli corvini e gambe asciutte.
Siamo a Luang Namtha. Nella via principale un germogliare di agenzie e pacchetti di viaggio, turisti, negozi di massaggi, ostelli. Siamo qui per scoprire qualcosa sulla giungla laotiana. Per farlo, ci affidiamo a “Into the wild“, un’agenzia che propone un trekking di due giorni con una notte in villaggio.
Syrth sarà la nostra guida.
Un trekking nella giungla può essere proprio come ti aspetti: un umido soffocante, la pioggia improvvisa, piccoli serpenti, zanzare, fango e infiniti ruscelli da guadare. Ti aspetteresti anche delle sanguisughe sulle gambe, e noi abbiamo avuto il piacere di trovarne diverse, di leeches.
Quello che non ti aspetti è cosa una foresta del genere può offrirti. Foglie commestibili, tronchi colmi di acqua fresca, un pranzo comprato al mercato e consumato su un tavolo composto da grandi piante. Ti aspetti ancora meno, dopo sette ore di camminata, di raggiungere un villaggio.
Si tratta di un villaggio Akha.
Ci troviamo in mezzo alle palafitte, in compagnia di maialini neri, galline e scarni bufali. Qui ceniamo con una zuppa di noodles e sprofondiamo nel sonno, tra le travi di un pavimento scricchiolante e un sottofondo di grugniti.
Siamo stanchi ed elettrizzati. Trovarsi lì in mezzo è come essere tra le righe di un testo di antropologia.
Il giorno successivo ci aspetta il rientro, lungo quanto l’andata, tra le fasce e le risaie.
Si conclude la nostra prima tappa in Laos, in attesa della prossima: Luang Prabang.
Un boccale di Beerlao ce lo siamo meritato!
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