E’ da tanto, tanto tempo che non premo i polpastrelli sulla tastiera del portatile. Va bene, lo faccio oggi. Forse perché fuori c’e’ la maccaia, quella cappa afosa che accompagna ogni tipica estate ligure. Forse perchè ho appena preso due caffè. Forse perchè ho un pretesto che mi sembra essere buono.
E’ successo, coincidenza?, che qualche giorno fa uno studente mi abbia detto che voleva leggere un libro di Tabucchi. Il libro si chiama “Sostiene Pereira”. Coincidenza vuole che quel libro fosse nella mia libreria, che l’avessi letto qualche anno fa, che non me lo ricordassi affatto.
Mi è sembrata una buona idea rileggerlo: d’altronde il treno Savona-Genova ultimamente sembra più lento che mai, e in due viaggi di andata e ritorno l’ho finito.
Comunque. Tutta questa prefazione per dire che sono rimasta colpita da questa frase “Ma anche se pensò così (…) sentì una grande nostalgia, di cosa non saprebbe dirlo, ma era una grande nostalgia di vita passata e di una vita futura”.
La nostalgia della vita passata, forse, ce l’abbiamo un pò tutti. Ma la nostalgia della vita futura? La nostalgia non dovrebbe essere qualcosa riferito al passato? Un rimpianto, malinconia di ciò che non c’è più?
Per me, nostalgia di vita futura vuol dire perdita di speranza. Vuol dire avere nostalgia di qualcosa che non accadrà mai, e la sicurezza che qualcosa non accadrà mai. Uno stato perenne e permanente di presente, ma non un presente sereno. Perchè quando sei abitato da nostalgia passata e futura, che tipo di serenità puó esprimersi nel tuo presente?
Ho pensato che in questo periodo di crisi mondiale, forse, c’ è una grande nostalgia futura.
Nostalgia di progetti, di viaggi, di programmi a lungo e breve termine, di decisioni. Tutti sappiamo dove siamo ma nessuno saprà dove andremo. Una grande nostalgia del futuro.
E del passato. Ma quella, diciamocelo, alberga in tutti noi.